Si è svolto qualche giorno fa a Gioia Tauro, presso Largo Pontile, il secondo appuntamento del Festival della Letteratura “Tauro Book”, organizzato dal GDL Lab Donne di Gioia Tauro con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale .
Nel corso dell’evento è stata ricordata “Donna Nina” alias “Roccantona” o Regina del Mare (classe 1908), la prima donna che a Gioia Tauro ha dato vita ad un’industria artigianale nel campo ittico.
A lei verrà intestata una via a Gioia Tauro come testimonianza storica dell’importante attività imprenditoriale intrapresa, in tempi economici difficili e in cui alle donne venivano preclusi molti diritti tra cui quello al voto.
Nasce, infatti, da una sua intuizione il mercato del pesce “pescato”, che ha rappresentato un importante fonte di ricchezza per tutta la Piana di Gioia Tauro. Per molto tempo, infatti, numerose famiglie, soprattutto nella zona della “Marina” hanno trovato lavoro e mezzi di sostentamento.
Per l’emancipazione femminile dimostrata nell’imporsi in un ambito commerciale prevalentemente gestito da uomini, “Donna Nina” è un esempio di vita che racchiude al suo interno elementi di tradizione e di innovazione.
Dopo i saluti di Monica Della Vedova; tante sono state le testimonianze che si sono succedute nel corso dell’evento, come quelle dell’ avv. Cimino e del dott. Vittorio Savoia.
Presente una delegazione del Comune di Bagnara Calabra con l’Assessore Paolo Gramuglia e la Consigliera Comunale Domenica Garoffolo.
L’attore Alessandro Lombardo ha recitato la parte del padre di Donna Nina.
Inoltre sono state proiettate immagini di repertorio.
Donna Nina nasce a Bagnara nel 1908 e si trasferisce nel ’34 a Gioia Tauro. E’ figlia di un noto pescatore, tale “Roccantonio”, esperto di tecniche marinare e marinaio della Marina Militare Italiana, a cui è stato dedicato anche un libro intitolato “Il mare come l’aria”. Giovane moglie di Giuseppe Iannì, pescatore di Gioia Tauro e proprietario di diverse barche da pesca di piccola e media grandezza con le quali era solito solcare le acque da Lampedusa, a Molfetta e a Malta.
Madre già di 4 figli al momento del trasferimento, donna intelligente, audace,
curiosa ed intraprendente, iniziò a osservare i pescatori locali e le loro mogli. Questi, dopo molte ore di pesca e di fatica, erano costretti a buttare via il “pescato” poiché non riuscivano consumarlo, a venderlo o a conservarlo. Si rese conto, pertanto, della necessità urgente di creare adeguate modalità di conservazione e di congelazione del pesce fresco e avanzato.
Iniziò ad acquistare il “pescato” riuscendo a rivenderlo anche in grandi quantità. In breve tempo riuscì ad attrezzare un deposito convenientemente strutturato per la conservazione, organizzando, con meticolosa attenzione, mise in piedi un’articolata rete di lavoro che arrivò ad impegnare 200 donne lavoratrici, le c.d. “bagnarote”, dedite alla vendita al minuto. La manodopera fu, infatti, quasi tutta femminile. Gli unici uomini impiegati erano, oltre ai pescatori, gli autisti e i conducenti dei mezzi su gomma (furgoni e camion) e per mare (barche e pescherecci).
Inizialmente, le “bagnarote” percorrevano in gruppo molti chilometri, a piedi “scalzi”, con enormi ceste in testa, per poter raggiungere i vicini centri abitati per la vendita.
Successivamente, grazie alla capacità di Donna Nina di accogliere e gestire i cambiamenti, venne utilizzato dapprima il solo carretto trainato dal cavallo (le “carrozzine”) ed in seguito gli automezzi da strada, in particolare i camion (i cui modelli si chiamavano “tigrotti” e “leoncini”).
Creò un mercato all’ingrosso, attirando gli affari dei “righetteri”, commercianti provenienti da molte città (tra cui Vibo e Messina) e investì, specializzandosi, nella conservazione del pesce fresco, la “salagione” (copertura sotto sale) sfruttando appieno le qualità del sale.
Il pesce che non veniva venduto neanche nei mercati dei vari centri urbani, veniva conservato attraverso la salatura, utilizzando il sale macinato dalle donne con grosse pietre e conservato in un luogo idoneo “‘u salateri”.
Il processo pesca-salagione risultò decisivo per ingrandire l’attività della sua azienda: si estese non solo a livello regionale, dove aveva rapporti commerciali nelle province di Catanzaro e Vibo Valentia (tra l’altro, anche nella città di Tropea e con la famosa azienda Callipo di Vibo Valentia), ma anche a livello nazionale con la Sicilia e altre città (soprattutto Viareggio, Gaeta e Napoli), ed estero con Norvegia, Olanda e Islanda (importazione di baccalà “pescestocco”).
In quel periodo molti chiesero ed ottennero da Donna Nina prestiti in denaro, senza che la stessa chiedesse la corresponsione di interessi, per essere aiutati nell’acquisto dei “mestieri” (reti, barca ed altri strumenti) con lo scopo di “avviare” un’attività autonoma legata alla pesca.
La Fabbrica del Ghiaccio, nata per efficientare ed ingrossare il commercio del pesce, ebbe origine inizialmente dall’utilizzo di una rudimentale lastra di ghiaccio vuota, successivamente mono- blocchi vuoti inseriti in appositi incavi, abbastanza profondi, creati nel pavimento di un apposito magazzino (oggi in disuso ma ancora esistente) e riempiti di acqua. Per evitare che le acque di scomposizione stagnassero a contatto del ghiaccio medesimo, fu accelerato il processo di scioglimento. Venne previsto e realizzato un più adeguato sistema di accesso e di drenaggio delle acque.
La dispensa refrigerata per la conservazione del pesce, dotata di celle frigorifere modulari “murate” con ampie aperture in acciaio, dove il ghiaccio veniva anche tritato e macinato, fu nel tempo trasformata in magazzino per la vendita del ghiaccio.
Il ghiaccio venne donato a chiunque ne avesse avuto bisogno, soprattutto per motivi di salute e per rinfrescarsi nella stagione calda. Un episodio da ricordare è certamente il contributo di Donna Nina, che prontamente offrì il ghiaccio necessario ai feriti, in occasione della nota strage ferroviaria di Gioia Tauro (attentato e deragliamento del treno direttissimo, Treno del Sole Siracusa – Torino Porta Nuova del 22 luglio del 1970, avvenuto a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro).
Nel 1957 Donna Nina realizzò il sogno di possedere, in proprio, un peschereccio d’alto mare di 80 tonnellate, dotato di celle frigorifere per il trasporto di molto pesce, fino a 4000 cassette di pesce scelto, selezionato e stivato. Acquistata a rate nella città pugliese di Molfetta (BA), per un importo esorbitante (circa 2 miliardi con il contributo dello Stato), l’imbarcazione, che porterà il suo nome, solcò le acque territoriali italiane del Mediterraneo e non solo, vantando prestigio ed efficienza dell’imprenditoria femminile calabrese.
Caterina Sorbara