Novembre è il penultimo mese dell’anno secondo il calendario gregoriano, deve il suo nome al fatto che nell’antica Roma, prima della riforma di Giulio Cesare, era il nono mese dell’anno che iniziava con il mese di Marzo.
Novembre : ogni anno all’arrivo di questo mese, l’immagine che subito appare nitida davanti ai miei occhi è quella della “ruga”, cioè la via dove si trovava la casa dove sono nata.
Già a fine ottobre iniziavano ad arrivare i venditori ambulanti di crisantemi e di lumini che le vecchiette chiamavano “i cirogini”.
Mia nonna e le sue vicine di casa ne compravano in abbondanza per i cari defunti, chiamati con una sorta di vezzeggiativo dialettale “i morticedi”.
Nei giorni 1 e 2 novembre insieme alla mia famiglia facevamo il “tour dei cimiteri”: Rizziconi, Taurianova, Polistena e Cittanova.
Se chiudo gli occhi, sento ancora l’odore della cera e dei crisantemi e la triste atmosfera di novembre, unita alla saudade mi avvolge in una fredda e straziante carezza.
Io osservavo in silenzio ; ricordo il cimitero di Radicena(Taurianova) le donne vestite di nero che piangevano i loro morti ammazzati, a causa di una faida tra famiglie mafiose che allora imperversava.
Al cimitero di Rizziconi, dove nonna Caterina ci stava tutto il giorno, seduta su una sediolina che si portava da casa “a mezza seggia”, a Polistena dove era sepolta la nonna di papà e a Cittanova dal nonno Vincenzo Sorbara.
Il cimitero “più bello”, cioè più curato era quello di Cittanova.
Novembre: ogni anno il 2 novembre Enzo Rigoli insieme ad altri ragazzi acconciavano una zucca a mò di teschio, mettevano all’interno una candela e giravano indossando un lenzuolo bianco per le vie del paese chiedendo noci, frutta e caramelle.
A me piaceva tanto vederli, anche perchè sembravano davvero dei piccoli fantasmi.
Nel borgo era normale parlare di fantasmi; secondo le vicine di nonna Grazia le anime dei defunti erano sempre accanto a noi e ogni notte di martedì e venerdì, celebravano una processione con lo scopo di pregare per i parenti vivi.
Si diceva che Maria Grazia Vaccari e “Ntona” a Giurdana” avessero il dono di unirsi alla processione dei morti e conversare con loro.
Il martedì la preghiera era a favore delle ragazze da marito e il venerdì per i malati.
Le due signore recitavano delle preghiere sconosciute e si univano alla processione.
A capo delle processione c’era un carro guidato dalla morte e dietro tutte le anime.
Si diceva che quando una persona muore, il pollice sinistro diventa un lumino che serve a far luce durante la processione.
Tante erano gli aneddoti che le vecchiette raccontavano e che io adoravo ascoltare, ma poi la notte avevo paura e non riuscivo a dormire, senza tenere stretta la mano di mia nonna Grazia.
Da grande quando ho letto il libro di Luigi Maria Lombardi Satriani “Il ponte di San Giacomo”, ho pianto per l’emozione.
Un altro ricordo è legato a zia Sara che ogni anno veniva da Messina, per recarsi al cimitero dai suoi genitori, portava in dono a noi bimbe la pignolata, la frutta martorana e le “ossa dei morti”, dolcetti di zucchero.
Per noi era una festa perché erano buonissimi e perché li portava lei, donna infinitamente buona e altruista, come lo sono tutti i Mamone.
Novembre: in questo mese l’autunno si impossessava (e lo fa sempre) del borgo natio, le foglie rosse e gialle si alzavano nell’aria sospinte dal vento; le contadine raccoglievano le ulive io le guardavo dalla finestra, sembravano sacerdotesse d Cerere, la mattina gli alberi e tutto il giardino erano ricoperti di brina, nel podere del nonno mi struggevo di passione per l’odore del mallo delle noci, la fiumara dietro il muro si riempiva di suoni, spesso ascoltavo il rombo dei fucili perché a novembre iniziava la caccia.
Io mi arrabbiavo perché papà e i suoi fratelli erano cacciatori, già da piccola ho odiato la caccia, amando infinitamente i voli degli stormi e il canto di tutti gli uccelli.
Preferivo l’odore dei funghi e delle caldarroste che papà non ci faceva mancare mai.
C’è un’immagine che mi accompagna sempre , non ricordo esattamente il luogo, né dove eravamo andati, ma ricordo mia nonna e mio papà, fermarsi e raccogliere le castagne.
Mia nonna Grazia era bellissima, la rivedo ancora intenta nella raccolta, come bellissimo era il terreno, tutto ricoperto di foglie secche e ricci di castagno spaccati e ingialliti, le castagne erano di un marrone lucente
I contadini in questo mese ,oltre ad essere impegnati nella raccolta delle ulive iniziavano a seminare il grano. Ricordo al mattino le siepi vestite di rosso, la brina che impreziosiva il giardino, l’ultimo canto dei passerottini, le prime piogge e poi l’estate di San Martino.
Secondo la leggenda, durante un giorno freddo e piovoso, Martino di Tours (divenuto poi San Martino) vide per strada un mendicante seminudo e tremante, così, mosso da un sentimento di pietà, decise di donargli metà del suo mantello; improvvisamente il cielo si schiarì e il sole iniziò a scaldare come in estate.
Come non ricordare anche la poesia di Giosuè Carducci “San Martino”.
Imparata a memoria nella piccola scuola del borgo natio e mai dimenticata, ancora oggi amata.
Sembrava Carducci l’avesse composta nel mio borgo.
Ogni anno novembre ritorna con il suo carico di foglie gialle e rosse portate dal vento, insieme all’odore dei lumini e dei crisantemi, del dolore , della tristezza, della nostalgia, sempre uguali, sempre vivi, benchè sepolti nel cimitero del cuore.
Caterina Sorbara