A volte la malattia, la fragilità, la vulnerabilità, creano esclusione, solitudine, isolamento, il malato non trova ascolto e appoggio nella situazione di infermità e di sofferenza. La malattia può essere anche kairòs, opportuno momento di grazia, per il malato e per chi si prende cura, rinsaldando e rinnovando amicizia e relazioni. È in gioco l’umanità, è in gioco anche la fede religiosa; Gesù Cristo, ha avuto un volto compassionevole verso ogni forma di emarginazione, ha guarito, salvato e reintegrato ogni categoria ai margini. Nel messaggio di Papa Francesco per la XXIII giornata mondiale del malato 2024, afferma che «La prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza». E se la compassione salverà il mondo? Non c’è bellezza nel dare la mano al bisogno e risollevarlo, la medicina e la terapia più grande. La prima terapia è lo sguardo di empatia e di prossimità verso il malato, l’attenzione contro ogni forma indifferenza ed egoismo che possono creare ferite peggiori della malattia stessa. Ringrazio gli infermieri, i chirurghi, i medici e il personale di supporto, che mi hanno curato nei giorni (5-7 febbraio c.m.) in cui sono stato ricoverato nel reparto di Ortopedia dell’Ospedale di Polistena “Santa Maria degli Ungheresi”. Continua il Papa: «Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo». La malattia presenta la sua ambiguità, può essere fattore di esclusione o di inclusione. Il malato si trova in una posizione di scarto, di inferiorità, e il Papa incoraggia nel suo messaggio: «Cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione». Occorre lavorare sul senso della prossimità, per una società più umana, corresponsabile, per ridare autenticità alle relazioni, un’attenzione e un sostegno che devono essere mostrati anche a favore degli operatori sanitari, chiamati a carichi di lavoro e ad affrontare politiche sanitarie sovente non a loro vantaggio Nel rinnovare il mio senso di gratitudine al personale sanitario del reparto di Ortopedia, concludo con le parole del Papa, «Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali». Sarebbe triste se chi si professa discepolo e credente, non assumesse lo sguardo compassionevole di Gesù Cristo, una mancanza di credibilità oltre alla responsabilità di non aver ascoltato il grido di chiede aiuto, un urto che a volte può imbattersi in muri d’indifferenza.
Don Vincenzo Leonardo Manuli