In questi giorni che sanno di crepuscolo, la saudade è la mia fedele compagna, riporta al mio cuore, profumi, emozioni, il canto spensierato delle cicale, le serenate dei grilli, il volo delle rondini tra gli ulivi, le chioccioline attaccate alla porta e tanti ricordi annegati sul lago del tempo.
Oggi mentre il rosso della siepe sul monte Sant’Elia, ammalia la mia anima, lei dispettosa, ha riportato al mio cuore il ricordo della mia altalena.
Chiudo gli occhi e mi rivedo, avevo 11 anni e volavo sull’altalena, sospinta dal dolce vento della primavera.
Era aprile e tra gli ulivi del borgo natio, il profumo dell’erba fresca e delle pratoline danzava nell’aria.
Trascorrevo i lunghi pomeriggi primaverili e dopo estivi , immersa nelle mie letture.
Sognavo ad occhi aperto di poter viaggiare e conoscere il mondo, conoscere la vita che al borgo natio mancava.
I libri erano il mio pane quotidiano, la musica la carezza della per la mia anima.
La radiolina nera, regalo del mio caro papà, sempre sintonizzata su Radio Piana.
E poi ricordo ancora i miei sogni, sembravano cortometraggi, che un giorno sarebbero divenuti realtà.
Sogni che un giorno sarebbero andati in scena sul palcoscenico della vita.
Sognavo ad occhi aperto di poter viaggiare e conoscere il mondo, conoscere la vita che al borgo natio mancava.
Avevo chiesto a papà un’altalena per poter volare insieme al vento , un piccolo svago visto che nel borgo natio non c’era niente: né il cinema, né il teatro, né il Corso Garibaldi né la via Marina come a Reggio Calabria.
Non c’era la magia della Fata Morgana.
Papà con una tavola e una corda, preparò l’altalena su un ramo robusto di un ulivo.
Quell’altalena era la mia gioia, il mio gioioso intervallo.
Scappavo fuori a “fare l’altalena”; a volte le mie sorelle e le mie cugine me la rubavano, ma era bello guardarle, mentre anche loro si divertivano.
Bastavo poco per essere felici.
D’estate mentre volavo sull’altalena, il mio sguardo si perdeva nel rosso dei papaveri, nel giallo delle pratoline e nel verde dell’erba fresca.
Oggi non esiste più l’altalena, né l’ulivo che l’ha ospitata, al suo posto è sorta un’azienda.
La casa paterna non è più nostra, è morta come i sogni.
Resta solo il ricordo della fanciulla che volava sull’altalena, resta una foto che conservo ancora, restano i libri, il ricordo dei sogni ancora vivi, sebbene annegati nel lago lacrimoso del tempo.
Ogni notte Selene misteriosa splende superba nel cielo del borgo natio, ma non c’è più la mia altalena.
Ricordo, a volte pensavo che da qualche parte tra gli ulivi c’era nascosta una fata, che con la sua bacchetta magica avrebbe trasformato il mio sogno in realtà.
Un giorno lo storico di Rizziconi Rocco Lentini, mi ha detto che nella vita arriva sempre, malgrado tutto, il momento in cui dobbiamo mettere un punto.
Io e la mia famiglia abbiamo messo un punto, abbiamo finalmente scritto punto, dopo tante virgole intrise di dolore, tragedie, cattiverie, falsità e delusioni.
Ma oltre quel punto restano i ricordi che portiamo nel cuore, i rimpianti di una vita non vissuta.
L’altalena, nella sua semplicità e innocenza, rappresenta un ricordo fatto di sole e amore.
Il ricordo di una fanciulla che voleva conquistare un pezzettino di cielo, il ricordo della non vissuta felicità.
Caterina Sorbara